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Barbara Baroncini // È tutto verde (2019)

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È tutto verde è una mostra che racconta gli ultimi due anni di ricerca artistica di Barbara Baroncini presentando al pubblico, per la prima volta, un corpus di opere incentrate sulla riflessione e sui rimandi del colore verde nonché sulla capacità dell’arte di generare stupore.
Il breve racconto che dà il titolo a questa mostra, contenuto nella raccolta La ragazza dai capelli strani di David Foster Wallace, è l’innesco per una ricerca che non si è fermata ad indagare solo i valori cromatici del verde ma è diventata per l’artista l’occasione per tornare a meditare con le sue opere su questioni intime e profonde come il peso del tempo e la natura dei rapporti amorosi.
Nel racconto, la visione del verde al di là della finestra, è l’occasione per la giovane Mayfly di interrompere il suo pesante silenzio mentre il compagno, stanco e adulto, sta dolorosamente cercando da lei comprensione e una qualche forma di attenzione.
Ho sempre pensato che queste poche pagine ben esprimano la grande capacità dell’arte di condizionare
la nostra vita. Proprio come quel verde raccontato da David Foster Wallace, l’arte può esplodere senza preavviso nella quotidianità, mostrando le cose dal loro lato più evocativo e sorprendente. Il verde in questo racconto è lo stupore, è una via di fuga dalla realtà, è la fascinazione del mondo provata con purezza giovanile, con la voglia di sorprendersi ancora e lasciarsi andare alla vita. Quel colore colto dagli occhi di Mayfly diviene la fugace possibilità per un riavvicinamento tra i due, in una coabitazione emotiva che non ha nulla di razionale.

Per queste ragioni ho voluto condividere con Barbara questo testo.
Abbiamo preso il verde e ne abbiamo analizzato ogni rimando, ogni mutazione di senso. Ci siamo sorpresi a ritrovare nelle nostre vite tanti di quei significati assunti dal verde per gli uomini prima di noi. Più di ogni altro colore, il verde rappresenta la vita che cresce e che si sviluppa. È un colore cangiante e mutevole che viene associato alla giovane età, ai piaceri della vita, al fiorire della passione amorosa. E come ogni cosa che vive, esso è soggetto alle regole del tempo.
Leggendo il racconto di Wallace viene spontaneo chiedersi come è possibile eternare quel lampo, come fermare questa cosa così potente da riempirti gli occhi e così fragile da subire il gioco del tempo. Nei secoli abbiamo lasciato all’arte il compito di eternare quel palpito di vita. Occhi sgranati hanno contemplato le storie narrate in immagini, messaggi divini bloccati alle pareti, sguardi sul mondo che come istantanee abbiamo fermato sino al futuro momento della distruzione. L’arte minaccia il tempo che minaccia l’uomo e quasi tutte le sue cose.

 
Entrata a Nelumbo dopo mesi di riflessione e con gli occhi pieni di verde, Barbara ha potuto concretizzare le sue idee attraverso un dialogo costante con chi ha saputo aiutarla a trovare forme concrete alle sue visioni. In questo spazio ritroviamo oggi cristallizzate tutte le scelte fatte dall’artista, frutto dei continui confronti e degli scambi umani e professionali avviati qui a Nelumbo.
Negli ambienti della galleria Barbara ha creato un proprio giardino e come un giardiniere ha operato con dedizione. Con una pratica continua e profonda si è presa tempo e ha voluto concedersi il privilegio dell’attesa. L’artista ha lavorato per due mesi nello spazio, abitandolo e pensando per esso un divenire diverso, un’inedita trasformazione.
E come Mayfly, Barbara ha saputo abbandonarsi al verde e alla possibilità di stupirsi.

Ad aprire la mostra, una serie di disegni a matita ritraggono porzioni di prato, zolle di terra che fremono di vita, caratterizzate da neri profondi di grafite e segni inquieti. Tra questi fili d’erba mossa, spuntano impreviste porte chiuse e corpi nudi che strisciano, come ad uscire allo scoperto, come a rivelarsi da un nascondiglio. Quelle soglie sbarrate sono luoghi di limiti e separazione, spazi del desiderio per amanti inquieti nell’attesa di un reciproco contatto.
Dalla porta in fondo a questa prima sala spuntano due piccole gambe piegate a cui l’artista affida l’accesso al suo giardino. Possiamo immaginare che questa scultura, di calda e fragile terracotta, sia una traccia dell’autrice che si rivela ai nostri occhi, guidandoci a oltrepassare la soglia con prudente circospezione.
Queste piccole gambe da stringere sono colte nella fuga, come fermate nel loro celarsi nel fitto di un bosco. Il giardino è stato per secoli il luogo simbolico del piacere sensuale, di ogni grazia offerta dalla vita e dalla giovinezza. Spazio di seducenti colori, di inebrianti odori e di inaspettati sapori, esso è il luogo che l’artista ricrea ed offre al visitatore, racchiuso tra le pareti della galleria e lontano da sguardi indiscreti. Nell’esigenza tutta umana di salvare la vita e di dare un corpo a questo luogo tanto desiderato, Barbara Baroncini sperimenta la tecnica della pittura a secco su intonaco, ispirata dall’analisi di grandi cicli pittorici del passato, dal loro resistere nei secoli e dalla loro capacità di generare ancora stupore. Sul soffitto della seconda sala della galleria è sospeso il suo prato di fili d’erba, soffici e avvolgenti, frutto di una lunga sperimentazione tecnica e della voglia di rappresentare il vigore e la floridezza della natura.
Questo prato è un luogo dedicato agli amanti, a chi ama e si ama, e a chi attende l’irrompere inaspettato della bellezza.
            testo di sala di Michele Gentili
per la mostra personale di Barbara Baroncini
a Nelumbo Open Project - Bologna
18 ottobre - 30 novembre 2019
fotografie di Zoe Paterniani
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