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On_the_spot//Rovine (2015)

On_the_spot//Rovine è una mostra collettiva d’arte contemporanea site-specific, primo appuntamento di una serie di eventi espositivi che si prefigge di valorizzare, attraverso la pratica di giovani artisti, aree altamente significative stimolando gli spettatori ad una presa di coscienza sui luoghi d’intervento.  Per questa occasione si propongono interventi temporanei pensati appositamente per l’Area archeologica di Helvia Ricina (Villa Potenza, Macerata). Gli artisti, provenienti da diverse zone d’Italia, hanno avviato un percorso di studio progettuale fatto di sopralluoghi e di ricerche, indagando le differenti caratteristiche del luogo e pensando ad un intervento artistico che interpreti quanto appreso secondo la propria sensibilità.

Si è scelta l’Area Archeologica di Helvia Ricina in quanto spazio altamente significativo per la sua storia e per il forte valore identitario che la lega al territorio: luogo che si è rivelato fin da subito capace di coinvolgere gli artisti in molteplici riflessioni estetiche. Ciò che resta oggi dell’antica Ricina è per lo più il suo teatro, cuore della cittadinanza, luogo di intrattenimento e di cultura, “rovina” di una civiltà passata e memoria di una città ancora parzialmente sepolta. Il percorso di visita della mostra, scandito attraverso dieci installazioni, varie per linguaggio e per medium, è un itinerario di scoperta di una realtà remota caratterizzata da narrazioni sopite, dalle necessità dell’ora e da aspettative future. Nell’ambito della pratica artistica site-specific gli artisti hanno creato opere tributarie e rispettose verso il luogo d’intervento, inseparabili dal contesto per cui sono state create, che non agiscono imponendosi come oggetti esterni ma che si inseriscono nell’identità stessa del posto, inscrivendosi nella sua memoria.  Attraverso la pratica artistica temporanea e l’apertura straordinaria del sito al pubblico, si vuole gettar luce su un luogo sacrificato tra l’asfalto e le adiacenti costruzioni, poco valorizzato dalle amministrazioni, non sfruttato turisticamente e spesso ignorato dalla stessa popolazione locale.

ARTISTI: 

Nicola Alessandrini, Barbara Baroncini, Boris Bertolini,

Alisia Cruciani, mariotti.mazzeo, Marta Palmieri,

PetriPaselli, Giorgio Pignotti, Antonio Pipolo, Giorgia Valmorri

A CURA DI: Michele Gentili

SEDE: Area Archeologica di Helvia Ricina // Villa Potenza di Macerata

PERIODO: 5 – 13 settembre 2015

* mariotti.mazzeo // Presenze sceniche

 

Installazione site-specific, otto strutture di legno di dimensioni variabili, smalti (bianco, viola, arancione ), dimensioni complessive d’ambiente.

 

Otto pali inclinati si inseriscono nel terreno dove una volta era il palcoscenico del teatro di Ricina. Essi sono identici fino al metro e mezzo di altezza, per poi prendere forme diverse ed eccentriche colorazioni.

 

Sono apparenti presenze aliene le strutture che il collettivo mariotti.mazzeo inserisce nel cuore del teatro di Ricina. Oggetti apparentemente esterni al contesto ma che vanno a stabilire un preciso e significativo legame con la perduta architettura del teatro romano. Una sorta di strana vegetazione che si ripete sempre uguale per il primo metro e mezzo d’altezza, per poi variare in soluzioni sinuose e dinamiche sulla parte superiore. L’installazione ricostruisce simbolicamente parte della struttura architettonica teatrale tracciando una linea che ci ricorda quanto fosse alto il palcoscenico. Dopo tale altezza infatti, il legno grezzo si colora e le forme si animano come attori: è la scena teatrale che prende vita al di sopra di quella linea di confine. Questo bosco estraneo e misterioso si inserisce in un passaggio d’accesso alla cavea e chiede di essere attraversato e vissuto fisicamente, facendo appello ad una emotività ed una partecipazione tipica di uno spettacolo in svolgimento.

*ANTONIO PIPOLO // Sol Victus

 

Videoproiezione, dimensioni complessive d’ambiente.

 

Il video proiettato in una delle stanze della casa del custode del teatro è un montaggio di riprese effettuate dall’artista durante alcuni giorni di lavoro in situ nell’area archeologica di Helvia Ricina.

 

L’opera che Antonio Pipolo ha realizzato al teatro romano di Helvia Ricina è una riflessione sulla nostra percezione architettonica delle rovine, interpretazione spaziale guidata e condizionata da conoscenze pregresse ed aprioristiche che generalmente ci fanno leggere le strutture degli edifici in rovina attraverso modelli codificati da documentazioni e studi storici, ma le cui mancanze ci permetterebbero  nuove  configurazioni architettoniche ed inedite percezioni spaziali.  Fissando un punto di vista in rotazione e attraverso tecniche di stop motion e projection mapping, Pipolo configura con la luce un’originale centralità della scena teatrale: lo spettacolo messo in scena nel teatro non è più focalizzato nelle sola area del palcoscenico ma è tutt’intorno in movimento, rompendo ogni prestabilito approccio allo spazio teatrale. Realizzando il video durante più cicli giornalieri, sfruttando la cangiante luce del sole, la circolarità nell’opera dell’artista si fa anche temporale oltre che spaziale.

Il titolo Sol Victus rimanda all’espressione latina Sol Invictus (“Sole Invincibile”) appellativo che nella Roma Antica coronava imperatori e designava periodi di prosperità e di splendore. L’architettura delle rovine è però vinta dalla storia e su di essa troviamo depositate stratificazioni temporali che ci permettono una percezione pura del tempo che la rende affascinante ed evocativa ai nostri occhi contemporanei. Le rovine sono presenze che il tempo ha condannato ad altre forme di splendore.

* NICOLA ALESSANDRINI // Ave

 

Ventilatore, pallone sagomato di tela, dimensioni complessive d’ambiente.

 

Sulla zona del teatro anticamente occupata dal palco un ventilatore soffia e smuove la sagoma di un pallone che ha la forma di una mano tesa.

 

Il teatro è luogo di declamazioni, spazio dedito agli spettacoli e luogo politico dove tessere rapporti sociali. A teatro la voce di uno raggiunge l’ascolto di molti. Da queste premesse Nicola Alessandrini ha deciso di realizzare un’opera che occupasse questo spazio dell’area archeologica, il luogo della scena, dove il messaggio veicolato dalla voce dell’attore si genera e parte rivolto agli spettatori. In una riflessione sul monumentale e sulla rappresentazione estetica del potere, l’artista riprende l’iconografia del saluto romano, popolarmente ritenuto un gesto codificato risalente alla Roma Antica e poi reso celebre dall’utilizzo che ne hanno fatto i principali regimi totalitari della prima metà del Novecento, divenendo così emblema di un potere forte e imperialista.  La mano tesa di Alessandrini è però la porzione di un monumento floscio, spogliato da ogni suo lustro e lontano dalla monumentale reverenza che spetta al potere. Ave è essa stessa rovina tra le rovine, residuo di un potere accentrante ed oggi inoffensivo, eclissato e reso ridicolo. È il simbolo abbandonato di una gloria sorpassata.

*GIORGIO PIGNOTTI// Cronache della preesistenza

 

Nove dipinti ad olio su tela e su tavola, basamenti in gesso, dimensioni complessive d’ambiente.

 

Nove dipinti di dimensioni diverse sono inseriti in una porzione del sito archeologico oggi occupata da frammenti marmorei abbandonati a terra, in attesa di essere installati su apposite strutture espositive. Sono perlopiù lapidi e frammenti decorativi di antichi monumenti funerari.

 

Una narrazione spezzata e frammentaria giace oggi a terra tra l’erba. Sono marmi di antichi edifici, decorazioni di tombe e memoriali di uomini che quella terra abitarono. Tracce di storie, frammenti di immagini. Stratificazioni di vite e di memorie passate. Gli interventi pittorici di Giorgio Pignotti si inseriscono in questo luogo depositario del tempo e di esperienze umane, entrando a far parte di una narrazione scostante ed evocativa. Ogni frammento ha l’apparenza labile del ricordo e l’essenza fragile di un vissuto privato. Pignotti ha voluto tessere un dialogo figurativo tra ciò che era e ciò che resta, con espressioni in bilico tra il fremito della vita e la quiescenza della morte.

* BARBARA BARONCINI // Mi sono posta di fronte al tempo

 

Installazione sonora, orologio, microfono, amplificatore, dimensioni complessive d’ambiente

 

Dalle rovine si sente il ticchettio amplificato di un orologio ripreso dal vivo. Questo giace in orizzontale, spoglio, privo di quadrante e con una sola lancetta.

 

La riflessione di Barbara Baroncini parte dall’osservazione delle differenti dimensioni, spaziali e temporali, che caratterizzano l’area archeologica di Helvia Ricina in relazione al tessuto urbano di Villa Potenza. Fuori dalla recinzione c’è il mondo contemporaneo: rumori di motori, suoni di clacson, voci di persone e di attività produttive. Caotico e rapido è il tempo della contemporaneità, veloce a tal punto che ogni cosa viene usata e gettata via senza che il tempo riesca a lavorare su di essa, senza che possa depositarsi sugli oggetti. Di fronte alle rovine si ha invece la percezione di un tempo puro, stratificato, sono pietre che restituiscono intatta la percezione del tempo e della sua durata. Ricina è uno spazio chiuso dove il tempo sembra sospeso ma incredibilmente presente.

L’artista ha voluto lavorare su questo contrasto di tempi e di spazi, mescolando gli elementi ed inserendo nelle rovine un apparecchio quotidiano, una meccanismo tecnologica che parli della contemporaneità. Tra le rovine si percepisce il ticchettio dell’orologio, un suono familiare che qui diviene straniate, dispositivo per un’esperienza immersiva. L’orologio è spogliato di ogni suo riferimento: posto in orizzontale, senza numeri e con una sola lancetta, non scandisce più un tempo umano e predefinito. È una cadenza regolare indefinita, senza riferimenti né quantificazioni.

*ALISIA CRUCIANI // Quel che resta di un viaggio inatteso

 

Installazione site-specific, calchi positivi di pietre e laterizi (lana cardata, cera bianca microcristallina, sabbia, glitter), dimensioni complessive d’ambiente.

 

In una piccola porzione del teatro sono disposte decine di calchi di pietre e di laterizi ad integrazione dei vuoti lasciati nella materia delle architetture in rovina. L’artista invita i visitatori a prendere e a portar via questi calchi, contemplando anche la totale cancellazione della sua opera.

Gli statuti maceratesi del 1432 conferiscono a qualsiasi cittadino il permesso di demolire edifici e prendere pietre, monete, e quant’altro dalla città di Helvia Ricina, ormai abbandonata da secoli. Una spoliazione legittimata che ha portato la città a divenire una cava di pietra, lasciando i soli resti dell’edificio teatrale a testimonianza della sua esistenza. Partendo da questi dati storici, quello creato da Alisia Cruciani è un racconto verosimile, la storia di pietre “assenti” dal teatro, prese e deportate per costruire dell’altro, altrove. È la storia di un viaggio effettuato dalla pietra per mano degli uomini.

Dopo aver integrato i vuoti mancanti con calchi di materiale da costruzione simili a dei bozzoli ancorati nei pertugi e nei vuoti delle pareti delle rovine, l’artista permette ai visitatori di prendere e portar via questi oggetti, legittimando una seconda spoliazione dell’area. Queste crisalidi sembrano racchiudere e proteggere qualcosa di potenzialmente prezioso, quieto e in attesa di germinare. Quel che resta di un viaggio inatteso è un’esortazione alla cura dei luoghi e un omaggio alla protezione della materia, perché solo con la cura e con il tempo le crisalidi come i luoghi possono evolvere e tornare a vivere.

* BORIS BERTOLINI // Delicati come cristalli

 

Installazione site-specific, vasca di legno, cenere, isomalto, dimensioni complessive d’ambiente.

 

Un modesto spazio rettangolare, antico ambiente di servizio del teatro,  è caratterizzato da una volta a mattoni, uno degli unici frammenti di copertura che restano oggi a Ricina. I laterizi appaiono offuscati da fuochi accesi in passato al suo interno. Nell’antro cresce rigogliosa una pianta di alianto, infestante proveniente dalla Cina, che si fa largo tra le rovine trasformando lo spazio. A terra, una vasca di legno contiene della cenere sulla quale sono adagiati calchi di foglie della stessa pianta realizzati in isomalto, sostanza assimilabile alla zucchero, organica e deperibile.

Una grotta antropizzata, un luogo umano oggi abbandonato che ritorna lentamente a vivere. Un’opposizione tra la vita e la morte, tra le rovine umane e la natura, tra la cenere e ciò che cresce. Questo gioco delle parti che condiziona da sempre le cose del mondo e le nostre vite è ciò che ha interessato Boris Bertolini che propone qui una vanitas laica, riflessione sulla caducità della vita e delle cose terrene. Sorpreso dalla tenacia con la quale la pianta di alianto si fa spazio tra le rovine, spinta da un’energia vitale che la porta ad impadronirsi dello spazio e di cose che solo di passaggio sono appartenute all’uomo, l’artista si confronta con gli elementi presenti in situ (la pianta, i segni del fuoco, le rovine) realizzando un intervento toccante e poetico, umano e allo stesso tempo universale. I calchi delle foglie cadute realizzati in isomalto si scioglieranno lentamente al sole, restando in attesa in un limbo tra la vita e la morte, tra l’esserci e lo sparire, e non lasceranno sulla cenere alcuna traccia della loro presenza, alcun segno del loro lieve passaggio su questa terra.

* MARTA PALMIERI // Forme nuove del passato

 

Installazione site-specific, Corde di canapa, argilla refrattaria, dimensioni complessive d’ambiente.

 

Un lungo letto di corde di canapa è disposto lungo una direttrice verticale e adagiato su quanto sotto di esso. Sulla sommità del fascio sono disposte un gruppo di forme in ceramica.

 

Un attento interesse formale muove la ricerca artistica di Marta Palmieri, caratterizzata da una rara sensibilità spaziale e una mirabile sapienza artigianale. Quella della Palmieri è materia dinamica, è scultura che vive. Il fascio di corde che scende sinuoso e potente è soggetto a forze libere ma allo stesso tempo controllate. La materia plasmata si fa varco temporale e l’indagine sulle rovine di Helvia Ricina è per l’artista l’occasione per una destrutturazione dello stile, attraverso il recupero di forme arcaiche che si contrappongono all’oggi e alla nostra temporalità. L’installazione è un gioco di equilibri sottili, di forme pure che si scoprono vive e vitali, di presenze che si rivelano così classiche e così contemporanee.

*GIORGIA VALMORRI // Quando il fiume era navigabile

 

Installazioni site-specific, mappe (fotocopie da originale: carta, penna bic, colore, trasferibili, sassi), lettere di ferro bianche, scatola di legno con sonoro, dimensioni complessive d’ambiente.

 

All’ingresso una scatola contiene delle mappe del teatro disegnate in originale dall’artista dove sono indicate le diverse entrate e le loro denominazioni. Sul retro del foglio, i disegni di sei essenze arboree caratteristiche del fiume Potenza e utilizzate tradizionalmente nella cucina popolare marchigiana (calendula, sambuco, cicoria, malva, pratolina, finocchietto selvatico). Un piccolo sasso recuperato dal fiume cinge e chiude la mappa. A terra, dove storicamente c’erano le diverse entrate dell’edificio teatrale, delle lettere bianche compongono delle scritte. Al centro del teatro, una scatola di legno emette un sonoro: è il rumore dello scorrere del fiume Potenza campionato dalla stessa artista.

Quando il fiume era navigale è un’installazione site-specific che si estende su tutta l’area dell’antico teatro di Ricina. Volontà dell’artista è quella di non aggiungere un’opera d’arte al luogo, ma piuttosto quella di riattivare la funzione del teatro invitando il visitatore a ristabilire un rapporto con la sua architettura. Le scritte a terra sono infatti degli inviti ad assumere atteggiamenti che caratterizzavano i soggetti a cui una volta ciascuna entrata era dedicata. Così facendo l’artista non predispone un’opera da contemplare ma crea un dispositivo con il quale fare una reale esperienza del luogo. Al centro del teatro, dove una volta tonavano le voci degli attori, riverbera lo scorrere del fiume, omaggio all’elemento naturale che ha dato origine all’insediamento urbano e che è stato per secoli luogo di scambi e di processi comunitari, nonché luogo da cui trarre sostentamento. L’opera di Giorgia Valmorri è un improvviso salto nel passato in un tempo nel quale il fiume era navigabile, Ricina era una fiorente città romana e il suo teatro, il cuore pulsante della vita cittadina.

* PETRIPASELLI // C’è spazio per tutti

 

Polistirene, ferro, plexiglass, alluminio, dimensioni complessive d’ambiente.

 

Una navicella spaziale è appena atterrata sulle rovine del Teatro Romano di Helvia Ricina, luogo ai margini di una strada trafficata, separato della vita contemporanea e sfuggente all’attenzione di chi passa distrattamente.

Con C’è spazio per tutti PetriPaselli ipotizzano un’inedita e fantasmagorica destinazione d’uso per un luogo oggi in stand-by,  in attesa di un progetto che permetta a questo spazio di ritrovare la sua perduta funzionalità e ristabilire così un rinnovato rapporto con i cittadini. Trasformando l’area archeologica di Helvia Ricina in un parcheggio per U.F.O., con giocosità ed ironia, gli artisti vogliono sottolineare la mancanza di attenzione verso un luogo significativo per l’identità del territorio e la sua storia, proponendo un inedito ripensamento percettivo.

Unica delle opere di On_the_spot//Rovine a non essere stata appositamente realizzata per Ricina, essa è stata già esposta alla mostra “Al limite sconfino” a cura di ADIACENZE (Forte Stella-Monte Argentario – 2014).

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